Luigi Cadorna, generale dittatore, e la cancel culture
Il generale Luigi Cadorna è un personaggio noto dai libri di storia, strettamente legato al primo conflitto mondiale e alla disfatta di Caporetto. Fortemente criticato per il suo atteggiamento autoritario, non poteva non essere preso in considerazione dalla cancel culture, il recente movimento revisionista che intende cancellare la memoria dei personaggi i cui comportamenti hanno determinato conseguenze negative per l’umanità. Nato a Pallanza (Vicenza) il 4 settembre 1850, appartenne ad una famiglia aristocratica con figure militari di rilievo: figlio del generale Raffaele Cadorna, capo dell’esercito sabaudo durante il Risorgimento, nonno di Raffaele comandante del Corpo volontari della Libertà durante la Resistenza. Divenuto capo dello Stato Maggiore generale nel 1914, diresse le operazioni del Regio esercito nella prima guerra mondiale dall’entrata dell’Italia nel conflitto il 14 maggio 1915 fino alla disfatta di Caporetto nel 1917. Cadorna aveva formato e armato un grande esercito, ma concepì in termini quasi assoluti il proprio comando inspirandosi a principi di rigidità e dura disciplina, con spiccato senso del dovere che sacrificava all’ottenimento della vittoria. Era un convinto sostenitore dell’assalto frontale ad oltranza nonostante ciò comportasse perdite enorme di uomini. Per oltre due anni continuò a sferrare durissime e sanguinose “spallate” contro le munite linee difensive austro-ungariche sull’Isonzo e sul Carso, ottenendo modesti risultati di avanzamento territoriale. Gli stessi austriaci erano sorpresi da come i soldati italiani fossero mandati al massacro esponendosi al fuoco delle loro mitragliatrici. Dopo la presa vittoriosa di Gorizia, Cardona accentuò ancora di più nelle sue mani la condotta della guerra: non tollerava alcuna critica e attribuiva sempre ad altri la responsabilità degli insuccessi delle sue decisioni. Era prassi comune pubblicizzare in tutto l'esercito l'esonero degli ufficiali superiori per manifesta incapacità di comando e di rendere noti i nominativi dei militari che avevano disertato. Leggi tutto: Luigi Cadorna, generale dittatore, e la cancel culture “Parole trasparenti” sull’Italia razzista
In tema di persecuzione degli ebrei, tra i diversi modi per raccogliere l’invito di David Bidussa a dare più spazio alla storia rispetto alla memoria, c’è il ritorno ai documenti. E quali migliore viatico delle lettere e dei diari? Ne costituisce un mirabile esempio un libro della collana Storie Italiane del Mulino, Parole Trasparenti. Diari e lettere 1939-1945, che racconta la storia appassionante e a tratti tenera di due sposini ebrei, il triestino Ettore Finzi e la parmigiana Adelina Foà, che decidono, nell’Italia dell’aprile 1939, di imbarcarsi a Genova, con la scusa del viaggio di nozze, e di raggiungere la Palestina per sfuggire alle persecuzioni razziali. L’epistolario è stato curato dal figlio Daniele Finzi e ha vinto, nel 2011, la 27esima edizione del Premio dei Diari di Pieve Santo Stefano. Le vicende che si susseguono da quell’anno fino al 1945 vengono ricostruite attraverso la corrispondenza fra i due coniugi e i brani dei loro diari. Adelina, avvocato in un prestigioso studio legale di Milano, vivrà per un lungo periodo sola a Tel Aviv con due figli piccolissimi, Anna e Daniele, adattandosi ad impieghi modesti per sopravvivere. Suo marito Ettore, chimico industriale, trova lavoro ad Abadan in Persia, alle dipendenze della Anglo Iranian Oil Company. La parabola del marxismo
Da molti anni alcune domande provocatorie aleggiano nel dibattito politico. È proprio vero che il comunismo è morto? E ancora: siamo sicuri di aver compreso le cause che hanno determinato il crollo del “socialismo reale”? Parrebbero interrogativi retorici, dal momento che il corso della storia sembra aver dato risposte inequivocabili. Eppure permane una sensazione di analisi incompiuta, di conti rimasti in sospeso, e il caos scatenatosi nell’Europa orientale altro non fa che aumentare il disagio di chi riflette su questi problemi. Un contributo alla loro chiarificazione fu fornito da uno scarno volumetto di Massimo L. Salvadori: La parabola del comunismo (Laterza). L’autore, noto storico delle dottrine politiche, ripercorreva con chiarezza le tappe che hanno segnato l’evoluzione dell’idea comunista dalle origini ai giorni nostri, tracciandone al contempo una mappa ragionata. Si può innanzitutto notare che il termine “comunismo” ha un significato duplice. Da un lato designa un progetto di riorganizzazione totale della società che, attraverso l’abolizione della proprietà privata, punta alla soppressione definitiva dei conflitti economici, etici e sociali. A un anno dal DL Caivano, non voltiamoci dall’altra parte
Ecco una sintesi del dossier “A un anno dal DL Caivano” dell’Associazione Antigone il quale descrive un quadro critico degli Istituti Penali per Minorenni (IPM) in Italia, sottolineando come il sistema di giustizia minorile sia gravemente compromesso. La situazione attuale è segnata da un aumento del sovraffollamento, condizioni di detenzione precarie e da una insufficienza di investimenti in edilizia carceraria che contribuisce a peggiorare le problematiche strutturali. Tra il 2022 e il 2024, il numero di giovani detenuti è cresciuto del 48%, con 569 presenze registrate a settembre 2024. Questa crescita non è dovuta a un aumento dei crimini commessi dai minori: le segnalazioni di ragazzi denunciati o arrestati nel 2023 sono calate del 4,15% rispetto al 2022. Il sovraffollamento, che ha raggiunto il 110% della capienza complessiva, coinvolge 12 dei 17 IPM italiani. L’IPM di Treviso è l’esempio più critico, con un tasso di affollamento del 183,3%, seguito da Milano e Acireale. Anche gli istituti che non sono ancora sovraffollati sono spesso al limite della capienza. Le condizioni di detenzione in molti IPM sono estremamente difficili. A Treviso, ad esempio, si è reso necessario l’utilizzo di brandine e materassi a terra per ospitare i detenuti. Simili misure di emergenza sono state adottate a Torino, dove alcune sezioni rimangono inagibili. L’IPM di Milano, noto come Beccaria, presenta problemi strutturali gravi, aggravati da lunghi lavori di ristrutturazione iniziati nel 2008 e ancora non completati. Leggi tutto: A un anno dal DL Caivano, non voltiamoci dall’altra parte Madrase d’Italia
Uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro dell’insegnante progressista. Come è noto la dirigenza della scuola “Iqbal Masih” di Pioltello ha deciso la chiusura dell’istituto il 10 aprile scorso, giorno della festività di fine Ramadan, con una delibera votata all’unanimità dal Consiglio docenti; questa scelta, ovviamente, ha generato delle polemiche nonché le proteste dei genitori degli alunni, ma il preside è stato irremovibile definendola “una scelta didattica e non religiosa”. Una motivazione dettata principalmente dal fatto che il 40% degli studenti, essendo di fede musulmana, avrebbero saltato le lezioni per quella giornata lasciando le aule semivuote ed anche per dare un segnale di integrazione e inclusione...bontà loro. Inoltre l’amministrazione scolastica ha preteso e imposto ai genitori in disaccordo di cancellare da Facebook, di fatto censurando, i loro post di protesta, mentre i sindacati FLC, CGIL e Camera del lavoro si sono schierati in presidio al fianco degli insegnanti e del Dirigente e i tre parroci di Pioltello hanno definito la decisione presa dall’istituto come “legittima e coerente con la realtà territoriale” del Comune milanese. Sono intervenuti anche i rappresentanti delle comunità islamiche locali che hanno bollato le proteste come “medievali”, forti dell’appoggio ricevuto da Mattarella, ormai vero leader dell’opposizione a questo governo, che si è espresso in favore degli insegnanti dell’Istituto comprensivo. La reazione del ministro Valditara è stata alquanto debole, incentrata sulle parole d’ordine di accoglienza, solidarietà e dialogo. L’episodio di Pioltello ha dato il via ad una gara di solidarietà e integrazione in varie scuole italiane da nord a sud.
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