Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Mi chiamo Bond: James Bond

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Certamente coloro che leggeranno questo articolo sapranno tutto dell'agente 007, la creatura immaginaria, ma non tanto, nata dalla penna di Ian Fleming e, conseguentemente, conosceranno la ormai interminabile serie cinematografica inaugurata nel 1963 dal leggendario Sean Connery.

Nella realtà, come si può leggere da un articolo comparso il 17.12.2011 sul quotidiano britannico "Guardian", può capitare che certe storie non si concludano propriamente con un happy end.

O almeno è sommamente difficile che ciò accada. I fatti sono i seguenti.

Otto donne inglesi hanno presentato in questi giorni una denuncia all'autorità giudiziaria contro alcuni agenti di polizia. Questi, tra gli ultimi anni del novecento e il 2010, erano stati amanti o compagni delle donne in questione. Il fatto dirimente però è che lo erano stati non per attrazione fisico-emotivo-sentimentale, ma per incarico dei loro superiori, con la consegna di spiarle in quanto appartenenti a organizzazioni ecologiste o pacifiste.

 

Nel 2010 una di quelle ragazze scoprì che sul passaporto dell'uomo con il quale conviveva non erano riportati esattamente nome e cognome. Senza chiedergli conto del come e perché, avendo capito che sotto c'era qualcosa di sporco, mise in moto insieme con il gruppo al quale apparteneva, un'indagine, dalla quale alla fine risultò che l'intestatario del passaporto altro non era che un agente infiltrato. In seguito vennero fuori altri sette casi del genere.

Gli agenti scoperti dovettero ritornare ai loro reparti perché ormai come 007 non esistevano più.

Il dato più grave sul piano umano sta nel fatto che non si trattò di piccole scappatelle o storie senza importanza: alcune di queste durarono anche nove anni, con tutte le implicazioni che da una simile situazione possono discendere.

Nell'atto di citazione in giudizio le donne denunciano di aver subito, in seguito alla vicenda, uno shock emotivo e psicologico tale da percepire le loro esistenze come distrutte, per la condizione di depressione, smarrimento, senso di inutilità e frustrazione, isolamento e diffidenza verso gli altri che ne è conseguita. Chiedono perciò allo stato di risarcirle  con un cospicuo indennizzo in denaro.

Questi i fatti. Ai quali è necessario far seguire alcune riflessioni.

La prima è una constatazione: lo stato inglese, ma per similitudine si potrebbe dire di tutti quelli di capitalismo avanzato (è noto che le polizie europee - e non solo - sono strettamente collegate fra loro su molti piani), considera l'attività politica delle organizzazioni extraparlamentari interessate al pacifismo e all'ambientalismo come un fatto eversivo, tanto da averle sottoposte a indagine di polizia, con l'uso di agenti segreti, in puro stile di controspionaggio militare, come se sul conto di esse vi fossero sospetti di chissà quali manovre e complotti.

Il che rivela un atteggiamento delle autorità di polizia, che è emanazione soprattutto dell'esecutivo ma anche del parlamento, a dir poco discutibile. Sono eversive le soggettività politiche di base dell'ambientalismo e del pacifismo? E' lecito e legale all'interno dello scenario democratico di un paese occidentale perseguire certi obiettivi? Fino a che punto si può fare ricerca politica su quei temi? Ma soprattutto: quanto è compatibile la pratica seguita dagli agenti inglesi con la democrazia e con i diritti del cittadino? Fino a che punto noi cittadini possiamo esercitare consapevolmente il nostro diritto di opinione?

La seconda invece concerne le storie personali di quelle otto signore. Che sono state fatte oggetto di ujn'intrusione violenta nella loro vita privata, sostenuta dall'inganno e dalla menzogna.

Non è difficile credere all'immensità del danno psicologico che le ha colpite, alle loro vite sconvolte, al loro futuro relazionale stracciato e vilipeso, allo sconvolgimento totale della loro natura  di esseri sociali. A cui deve seguire da parte nostra una nuova domanda: lo stato, il governo, la polizia, avevano messo in conto la probabile distruzione psicologica di quelle individualità?

Era tanto alta la posta in gioco da considerare possibile un tale rischio? E' ipotizzabile che qualche loro rappresentante chieda scusa alle donne per l'infinità dell'offesa loro arrecata? Perché se alla conclusione della vicenda non seguirà nulla di tutto ciò potremmo e doremmo giungere a conclusioni molto amare, secondo le quali, per il cosiddetto stato democratico nel quale viviamo qualsiasi tema, problema, ricerca, condotta, non conforme a certi dettami prestabiliti potrebbe essere oggetto di indagine e successiva repressione.

A questo punto però dovremmo essere noi a problematizzare la questione: ha senso ancora definire democratico un paese che agisce in tale aperto disprezzo dei diritti umani fondamentali?

La risposta è un secco no. Viviamo in una democrazia degradata e sconvolta, attraversata ovunque da tentazioni autoritarie,  fortemente divisa in classi a causa delle sperequazioni economiche, con possibilità molto ampie per chi occupa la parte superiore della piramide sociale e restrizioni proporzionali per chi sta più in basso.

L'ecologia è quasi sempre roba da poveretti. Per la qual cosa non è affatto immaginabile, pensando in termini razionali, presumere che le cose sarebbero andate allo stesso modo se per assurdo le otto donne fossero appartenute alle upper classes. E' noto, infatti, che i ricchi sono sicuri che il mondo appartenga a loro, mentre i poveri - e i meno abbienti in genere - hanno la fondata convinzione che esso sia di tutti.

 

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