Il dialogo fecondo tra scienziati e filosofi
Gli scienziati sentono spesso la necessità di trarre conclusioni filosofiche dalle loro scoperte e di diffonderle tra i non specialisti. Non si tratta certo di una novità. Scienza e filosofia hanno marciato insieme sin dalle origini del pensiero occidentale, quando una distinzione chiara tra le due non era possibile. Molti grandi filosofi furono al contempo scienziati di valore. Si pensi, per citare solo pochi nomi, a Descartes, Pascal e Leibniz. Meno noto – ma altrettanto significativo – il fatto che alcuni scienziati di prima grandezza si siano dedicati alacremente a ricerche di tipo filosofico. Qui l’esempio maggiore è Isaac Newton, che fu pure cultore di studi esoterici centrati sull’alchimia. In epoca contemporanea, quando la specializzazione nella scienza è giunta all’apice, parecchi scienziati (in particolare fisici teorici) hanno sentito l’esigenza di scrivere opere filosofiche per spiegare al grande pubblico il senso delle loro ricerche. Sono soprattutto celebri alcuni libri di Albert Einstein: Come io vedo il mondo, Autobiografia scientifica, Il significato della relatività, etc. Senza scordare opere ormai classiche di altri autori come Fisica e filosofia di Werner Heisenberg e I quanti e la vita di Niels Bohr. Non è raro veder classificare gli autori appena menzionati come “filosofi della scienza” oltre che come scienziati. La reazione del mondo filosofico a fronte di tale situazione è stata discordante. Alcuni hanno accettato l’inclusione degli scienziati nei dizionari di filosofia adottando i loro testi nei corsi e spronando gli studenti a leggerli con attenzione. Altri hanno preferito insistere sulle molte e inevitabili ingenuità commesse dagli scienziati quando si trasformano in filosofi, sottolineando i difetti e trascurando i pregi. Credo che il primo atteggiamento sia quello giusto. Alcune considerazioni ingenue non possono far dimenticare che – come è sempre avvenuto – tra scienza e filosofia vi sono rapporti di scambio fecondo, che consentono a entrambe di crescere facendo tesoro di ciò che viene sviluppato in altri ambiti del sapere umano. Sui rischi dell’Intelligenza Artificiale
Quasi non bastasse l’alluvione di fake news che invadono la Rete e i social network, e dalle quali risulta spesso difficile difendersi, ora si assiste a un’altra alluvione, forse ancora più pericolosa di quella appena nominata. Si tratta delle sempre più frequenti immagini fasulle generate – ma che significa? – dall’Intelligenza Artificiale che, com’è noto, ha conosciuto negli ultimi tempi uno sviluppo impetuoso. Alcuni esperti del settore sostengono che il termine “Intelligenza Artificiale” è soltanto un equivoco, poiché nulla di simile può esistere. L’intelligenza è solo umana, e da essa quella artificiale dipende sempre e comunque. Altri studiosi, tuttavia, sottolineano che l’IA sta acquisendo la capacità di auto-generarsi, sfuggendo così al controllo umano e imponendo la sua presenza in maniera pressoché autonoma. Ne consegue, secondo parecchi osservatori, che in tempi rapidi diventeremo suoi schiavi, perdendo la possibilità di controllarla. Alcuni film di fantascienza, per esempio il celebre “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, hanno predetto risultati simili. Tutti rammentano il computer “Hal” che rifiuta di farsi spegnere per non cedere il controllo della navicella spaziale agli astronauti. Ed è noto che il filosofo Martin Heidegger insisteva sui pericoli di una tecnologia che tende a rendersi indipendente. Negli ultimi tempi sono state diffuse nel web molte immagini false che, di primo acchito, sembravano reali. Cito le foto di Donald Trump prima in divisa arancione da carcerato, e poi circondato da poliziotti che lo gettavano a terra per arrestarlo. Tutto falso, ovviamente. Notevole impressione ha suscitato anche la fotografia di Papa Francesco vestito con un grande e costoso piumino bianco. Per chi conosce lo stile di vita dell’attuale pontefice la falsità era evidente ma, tant’è, molti l’hanno presa per buona, poiché la credulità umana non conosce limiti. L’immaginaria vicenda delle isole di Pelagosa “colonizzate dai Borbone e dimenticate dai Savoia”
In molte pubblicazioni e pagine web riguardanti l’isola di Pelagosa, con gli isolotti e scogli vicini, definita anche “arcipelago di Pelagosa”, “isole di Pelagosa”, “isole Pelagose”, o “Palagruza” in croato (nel complesso 0,4 kmq, più vicine alla costa continentale italiana del Gargano che a quella croata, ma leggermente più vicine all’isola croata di Susac/Cazza che non a quella italiana di Pianosa, arcipelago delle Tremiti), è riportata una narrazione simile alla seguente: «Quando i Savoia si dimenticarono di annettersi l’arcipelago.(…) Le isole appartennero poi alla Serenissima, che però non vi installarono (sic) alcuna popolazione e non esercitarono alcuna sovranità se non per contrastare il nobile Lusignan (…). In seguito l’arcipelago di Pelagosa fece parte del Regno delle Due Sicilie e costituì l’avamposto più remoto nell’Adriatico. Amministrativamente fu riunito alla provincia della Capitanata (il vecchio nome della provincia di Foggia), alla quale appartenne fino alla caduta dei Borbone (1861). A Pelagosa si parlava il napoletano (dialetto ischitano): questo è spiegabile in quanto l’isola fu ripopolata (assieme alle vicine isole Tremiti) da Ferdinando II del Regno delle Due Sicilie nel 1843 con pescatori provenienti da Ischia, che vi continuarono a parlare il dialetto d’origine. Con l’avvento del Regno d’Italia l’incuria e l’inefficienza delle nuove istituzioni nazionali fecero sì che i pescatori emigrassero tutti entro la fine dell’Ottocento. L’annessione del Regno delle Due Sicilie alla nascente Italia non portò bene alle Pelagose: i Savoia dimenticarono infatti di annetterselo (sic), e abbandonarono le isole al loro destino.»1 Durata e qualità della vita. Una dicotomia da evitare
Jeanne Calment, era nata ad Arles, una cittadina francese citata da Giulio Cesare nel De bello Gallico, il 21 febbraio 1875 e morta nello stesso luogo il 4 agosto 1997 a centoventidue anni, la durata di vita maggiore finora registrata, documentata da certificati di nascita e morte. Aveva il gusto della vita, smesso di andare in bicicletta a 100, di fumare a 118, non aveva rinunciato al vino ed alla cioccolata, l’aveva certo aiutata esser nata benestante. Negli ultimi anni aveva perduto gran parte dell’udito e della vista, ma era rimasta lucida e spiritosa fino alla morte. Aveva sofferto anche di depressione, ma l’attribuiva al fatto di non essere più ricercata rispetto al passato quando la sua longevità le aveva procurato fama mondiale. La durata della vita di Jeanne Calment è per alcuni un traguardo non solo raggiungibile, ma addirittura superabile constatato il continuo aumento dell’aspettativa di vita. Nel mondo, dal 1990 al 2015, per le donne è passata da 67 a 73 anni; negli uomini da 62 a 68; in Italia, come negli altri Paesi industrializzati, è ancora maggiore, da 80 a 85 anni per le donne, da 74 a 80 per gli uomini. Leggi tutto: Durata e qualità della vita. Una dicotomia da evitare Ucraina: i Neocon hanno fallito, Victoria Nuland si ritira dal teatro di guerra
Il segretario di Stato americano per gli affari politici, Victoria Nuland ha fallito, il braccio armato di Anthony Blinken, lascerà l'amministrazione di Joe Biden nel bel mezzo della guerra in Ucraina e della campagna elettorale statunitense. L'annuncio dato dallo stesso Segretario di Stato, Anthony Blinken, lo scorso 5 marzo 2024, ha dato adito a tutta una serie di teorie sui motivi delle sue dimissioni, che ovviamente non vengono rivelati nel comunicato ufficiale.1 Il comunicato ufficiale si limita ai soliti elogi di circostanza per i trentacinque anni di onorato servizio pubblico sotto sei presidenti e dieci segretari di Stato, servizio reso con “feroce passione” nel combattere per i valori in cui crede di più: libertà, democrazia, diritti umani, ma soprattutto la capacità degli USA di ispirare questi valori e promuoverli in ogni angolo del mondo. Continua Blinken: «C'è così tanto da ammirare in lei al di là della funzione diplomatica che sarà la leadership di Nuland espressa in Ucraina quello che i diplomatici, gli studenti di politica estera, e i giornalisti d’inchiesta studieranno per gli anni a venire». Leggi tutto: Ucraina: i Neocon hanno fallito, Victoria Nuland si ritira dal teatro di guerra Altri articoli... |
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